L'uscita di questa raccolta è evento che mette un po' in difficoltà il recensore, per tutta una serie di motivi, che proveremo a sintetizzare. Stiamo ai fatti: come qualunque appassionato di jazz in Italia ben sa, la HORO è stata fino al 1979 una delle più avventurose e originali etichette di jazz sorte nel nostro paese: fondata da Aldo Sinesio nel 1972, la label ha testimoniato nei suoi LP il meglio del jazz nazionale e internazionale di quegli anni [spesso nella mitica seria "Jazz a confronto"], da Giorgio Gaslini a Sun Ra, da Enrico Rava e David Murray, da Giancarlo Schiaffini a Freddie Hubbard, solo per citarne una minima parte.
Ora, pur vivendo in un mondo che ha pubblicato in CD e ristampato praticamente ogni cosa possibile e immaginabile, comprese quelle che era possibile e immaginabile dimenticare, per tutta una serie di fattori che qui non staremo a sviscerare [volontà del produttore, contingenze varie], i dischi della HORO non hanno mai trovato una ristampa ufficiale in CD - quelle circolate per l'americana Atomic Records sono un rozzo riversamento da LP non autorizzato - e sono diventati negli anni tra i pezzi più pregiati sul mercato dei collezionisti.
Nei mesi scorsi è stato annunciato un rientro della HORO sul mercato, con la pubblicazione in CD delle registrazioni dal vivo di Freddie Hubbard del 1980 [annunciata anche sul sito di Sinesio], un inedito duo tra Dave Burrell e Sam Woodyard e una progressiva ripubblicazione su CD dell'intero catalogo. Appassionati e studiosi sono ovviamente in attesa degli sviluppi di questa vicenda dai toni vagamente pirandelliani [e trattandosi di un'etichetta di Porto Empedocle il paragone viene piuttosto naturale].
In questo quadro, tra mito e attesa, si inserisce HORO - A Jazz Portrait Compiled by Gilles Peterson, pubblicata dalla Dejavu di Paolo Scotti: il celebre DJ e produttore inglese ha raccolto quindici tracce dal catalogo dell'etichetta, spaziando con l'eclettismo che gli conosciamo da Lester Bowie a Santucci&Scoppa, giocando in equilibrio fra artisti italiani e americani/stranieri. Tra i primi troviamo Giancarlo Barigozzi e la sua "Pastoral" [ampiamente debitrice della "My Favorite Things" coltraniana] e Enrico Pieranunzi, Piero Umiliani e Renato Sellani, fino alla coppia Valdambrini/Piana. Tra i secondi Roy Haynes, Stafford James [nel cui quartetto troviamo un acidulo Enrico Rava], Sun Ra [al rocksichord in "The Satellites"], Steve Grossman, Irio De Paula, Kenny Clarke, privilegiando temi ricchi di groove, come è comprensibile data la natura della raccolta - ma l'inserimento di "What America Wants, America Gets" di Garrett List è una splendida eccezione..
Ed eccoci giunti quindi a qualche riflessione conclusiva: premesso che il disco è davvero godibile e che si spera possa fare conoscere questa etichetta a quante più presone, è evidente che non si può sintetizzare una cinquantina di dischi in poco meno di un'ora e un quarto. Scorrendo però la discografia della HORO [in rete si trovano diversi siti e blog aggiornati e ben fatti a riguardo] si notano molti nomi che Peterson non ha incluso e il cui peso è tutt'altro che secondario, da Archie Shepp a Max Roach, da Don Pullen [il cui piano solo Five to Go andrebbe certamente riscoperto] a Steve Lacy, da Sam Rivers a Mario Schiano. In particolare il rischio di una simile operazione antologica, comunque lodevole, lo ribadiamo a scanso di equivoci, è quello di appiattire l'esperienza HORO, di toglierle quella straordinaria profondità di prospettiva che già era programmatica nella serie "Jazz a confronto" [un confronto che era plurimo, tra generazioni di jazzisti e tra ambiti espressivi, oltre che geografici] e che, pur nella non uniformità degli esiti artistici, è una delle chiavi di lettura più interessanti di un'etichetta così peculiare, inserita in un contesto così peculiare. |