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CINECOCKTAIL 4 The italian horror show + HANGING SHADOWS - recensione su Close-up.it by Alessandro Izzi - Italiano

10/03/2008

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CINECOCKTAIL 4 The italian horror show + HANGING SHADOWS  - recensione su Close-up.it by Alessandro Izzi - Italiano
CINECOCKTAIL 4 The italian horror show + HANGING SHADOWS  - recensione su Close-up.it by Alessandro Izzi - Italiano

CINECOCKTAIL The italian horror show

L'horror è, tra tutti i generi cinematografici, forse quello più spiccatamente audiovisivo. Sicuramente quello in cui la frattura tra “percezioni visive” e “ascolto” assolve una funzione assolutamente peculiare che sfiora, spesso, le vette della filosofia (del linguaggio) più pura.
Nell'horror, infatti, non vedere qualcosa, ma percepirne la presenza a livello sonoro (o il suo diretto contrario non poter sentire qualcosa che, invece, è sotto il nostro sguardo come le parole risolutive della prima vittima di Suspiria, coperte dalla tempesta, ma “viste” nel labiale dalla giovane protagonista appena arrivata al colleggio) sono qualcosa di più di un mero artificio narrativo. Sono espressione di una visione esistenziale, dimostrazione per assurdo dei nostri limiti percettivi e, quindi, per estensione della nostra capacità di interpretare fattivamente il reale.
Nell'horror oggettività e soggettività diventano, quindi, categorie confuse, indefinibili e l’incertezza che permea ogni fotogramma delle pellicole del genere diventa funzionale non solo alla creazione di pura e semplice tensione, ma rappresentazione dell’assurdità dell’esistenza. Quello che separa l'horror da Bergman (e l’aveva capito benissimo Wes Craven in L'ultima casa a sinistra, remake disperato di La fontana della vergine) è la posta in gioco per i personaggi del racconto: la solitudine esistenziale e la consapevolezza dell’incomunicabilità per il maestro svedese, la stessa sopravvivenza per i film di mostri e delitti.
Per un genere così popolato da presenze visive fantasmatiche (ciò che si vede non è detto sia reale) e da acusma inquietanti (ciò che si sente non è detto non sia frutto di mera suggestione), la musica assume un’importanza capitale.
Non si riesce a "dire" horror senza che alla parola non si associ un tema, una suggestione sonora, un’armonia, il suono di un qualche strumento. Allo stesso modo in cui non si può dire Hitchcock senza pensare Hermann o Carpenter senza… Carpenter.
Il merito di una compilation come quella recentemente pubblicata dalla Beat records (Cinecocktail: The italian Horror show) non è solo quello di aver raccolto su disco alcuni dei brani più rari ed introvabili della storia italiana del genere (Nico Fidenco, Carlo Maria Cordio e Stefano Mainetti non godono, sfortunatamente, di grande attenzione da parte della case discografiche del mercato delle ristampe), ma, soprattutto, quella di aver posto l’accento su una precisa idea sonora del genere.
Ovviamente, e non poteva essere altrimenti, la parte del leone in questa ottima silloge di brani, la fa Ennio Morricone, un compositore per cui la frequentazione del genere non è stata né sporadica, né occasionale. I brani scelti (ben quattro per venti minuti di musica: circa un terzo dell’intero disco) ci danno subito l’idea di un autore estremamente eclettico, capace di sfruttare appieno tutte le risorse dell’orchestra e di combinare insieme tecniche e linguaggi tra loro spesso diversissimi al fine di produrre dei brani a cavallo tra musica d’uso e musica assoluta (miracolo che non sempre si avvera nei lavori composti da Morricone per altri generi cinematografici).
Apre la compilation il brano The link (dal film Extrasensorial), un trionfo di suggestioni che si ricollegano ad atmosfere depalmiane con la melodia gentilmente affidata al timbro caldo e dolente dei legni mentre gli archi si limitano a punteggiare l’esposizione del tema con parchi accordi strappati (un must dell’autore che ritorna anche in molta musica per la televisione) mentre il pianoforte sigilla il tutto in un giro di armonie minori da favola tanto paurosa quanto triste.
Più legata allo spirito del tempo (siamo nel pieno degli anni ’70 di certo jazz) è la linea vocale della seconda traccia (La lucertola dal fulciano Una lucertola con la pelle di donna). Una linea melodica annunciata per ben due volte (il brano è sostanzialmente bipartito) e poi chiusa da inquieti intrecci di flauti, xilofono e distorsioni elettroniche che hanno un sapore decisamente più avanguardista. Colpisce, all’inizio della seconda parte del brano l’accostamento tra la base ritmica di batteria e contrabbasso con il metallico pizzicato del clavicembalo: una scelta molto originale.
Più legata ad un gusto manierista è il superbo preludio organistico composto per il film L’anticristo da Morricone con la collaborazione di Bruno Nicolai: appena un disegno discendente tripartito (in una chiara allusione trinitaria) che passa per registri e volumi sonori via via più enfatici e grandiosi.
Il punto più alto della parabola morriconiana di questa compilation è, comunque, toccato nell’impressionante Veni Sancte Spiritus da Il sorriso del grande tentatore: un brano che miscela con maestria ineguagliabile la nostalgia per il canto gregoriano (nelle continue ripetizioni della sequenza latina dapprima per una e poi per due voci femminili) con le punte più avanzate della sperimentazione musicale contemporanea (la declamazione sillabica e “staccata” del coro esegue clusters violentemente condensati intorno a singoli accordi pianistici). Al nastro magnetico, infine, sono affidate le voci del coro di bambini che, nel disegno ritmico agitatissimo già prefigurano certe atmosfere sonore di The mission. Un brano assolutamente germinale che, nei suoi momenti più apertamente sinfonici (quando il disegno del Veni Sancte Spiritus si sovrappone alla suggestiva evocazione, sui bassi elettrici, dell’apocalittico Dies Irae) diventa pietra di paragone e modello da imitare per tutti gli autori di musica del genere.
Andando avanti: i tre brani Di Nico Fidenco proposti nella compilation sono tutti tratti da Zombi Holocaust e sono la perfetta espressione di un pensiero musicale incisivo e trascinante (su tutte il track 15, Resurrection, sostenuto dall’ostinato ritmico dei bonghetti su cui si innestano suoni distorti elettronicamente e il timbro spaventosamente suadente di uno strumento che parrebbe essere addirittura un thieramin).
Gioielli acuminati sono, infine e per chiudere, le musiche di Frizzi per i film di Fulci. Suono aperto (per L’adilà) è un capolavoro di atmosfera, rarefatto e suggestivo come pochi altri, mentre Baby sequenza è un perfetto archetipo musicale fulciano con il suo andamento quasi accordale, violento e materico che vive della contraddizione tra la grevità imposta dall’uso delle campane e la strana evanescenza del vibrato degli accordi a mezza orchestra.
Un cd da possedere.

Il CD è abbinato al DVD - Hanging shadows


DVD HANGING SHADOWS

L’horror italiano non esiste più. Non ci sono più quegli artigiani capaci, con il minimo del budget, di evocare atmosfere, creare suspence, tenere il proprio pubblico incollato alla poltrona.
Dario Argento, certo, continua a far film con esiti travagliati. Quando se ne va in America ed è sostenuto dal mondo dinamico ed altamente professionale della televisione via cavo è ancora capace di produrre opere genuinamente perturbanti (è il caso dei sue episodi dai Masters of horror). Viceversa quando ha a che fare con le sue ossessione più personali, quando torna in Italia e si lascia abbindolare dalle suggestioni architettoniche delle grandi città come Roma, il suo cinema sembra nostalgico e tristemente datato. I suoi film non sono più l’opera di un apripiste che fa scuola e si tira dietro imitatori (come lo stesso Bava, maestro di tutti), ma solo gli esiti più tardi di una stagione ormai conclusa.
Negli ultimi venti anni l’horror è diventato altro da quello che era stato(l’invasione dei film giapponesi, i remake-cloni americani, il caso Shyamalan) e anche il cinema italiano si è trasformato (è scomparso il prodotto di genere, si sono ridotte gli investimenti nazionali, si è fatto invadente il monopolio televisivo con reti che proprio non ce la fanno a trasmettere film malati come Do you like Hitchocock?).
Sono queste le prime considerazioni che vengono alla mente quando si finisce di vedere Hanging shadows, bel documentario di Paolo Fazzini sull’horror italiano. Quello che resta, infatti, impresso nell’iride dello spettatore, non è tanto l’elegia commossa di un modo avventuroso e pionieristico di fare cinema, quanto piuttosto l’impressione funerea della fine irreversibile di un’epoca che, certo, è stata eroica, ma ora è solo materia di canto per tristi messe da Requiem.
Il tono è, infatti, per tutto il breve documentario, quello della rievocazione commossa e partecipe. I vari personaggi intervistati (da Ruggero Deodato che rifiuta a ragione di ascrivere Zombi Holocaust al genere a Dario Argento che racconta l’origine di alcune sue idee, da Lamberto Bava che parla di sé e del padre a Michele Soavi che aggiunge la sua cultura iconografica ai discorsi sull’immagine) concordano nel tono da leopardiane rimembranze che addolciscono ogni cosa nell’alone flou del tempo ormai passato.
Ogni ricordo si porta, così, dietro un sorriso ed un sospiro. Il sorriso per l’arguzia, l’intelligenza e l’ironia di certe situazioni che valeva la pena raccogliere in un film. Il sospiro per l’irripetibilità del momento, per la consapevolezza che tutto si è già chiuso, che i giochi son stati ormai fatti.
Sarà anche per questo che la fotografia di questo film documento è così efficacemente sporca. È tale perché inneggia a film che, realizzati spesso in condizioni precarie, non potevano non essere a loro modo sporchi e materici. Ma, soprattutto, è sporca perché racconta il depositarsi della polvere sui resti di un genere, il lento marcire a vista di un’epoca. Come uno zombie preso di peso da una pellicola del vecchio e mai troppo compianto Fulci.

La qualità audio-video

Difficile riuscire a dare conto della qualità del lavoro di compressione di un film come Hanging shadows che è nato digitale e ha fatto dell’immagine sporca e granulosa un vero e proprio proclama di poetica. Si può dire solo che non si ravvisano, durante la riproduzione del video, segni di digitalizzazione particolarmente fastidiosi.
Anche il suono, per lo più in presa diretta, resta chiaro e sufficientemente avvolgente.

Extra

Il film è abbinato al cd: OST - Cinecocktail. The italian horror show
Ad arricchire la proposta, poi, resta un breve video musicale che è prima di tutto un omaggio al genere.

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