Berlino, 1939: il bordello d'alto bordo (''salon'', nome scelto apposta per richiamare il contemporaneo scandalo-successo di Salò) della tenutaria Kitty (la svedese Thulin di bergmaniana provenienza) viene sfruttato dai nazisti come centrale operativa e le peripatetiche sono sostituite da vere nazionalsocialiste, inesperte in campo sessuale. Presto, però, la fede al partito cala e cresce la dedizione al nuovo lavoro e l'amore sbocciato fra tanta perversione. Brass cosceneggia insieme a Ennio De Concini e Maria Pia Fusco un fatto realmente accaduto e trae un simil-porno film molto spinto (la Senatore è ''impegnata'' con un torso-nano vivente) con cui satireggia Hitler e seguaci e inneggia, marpione divertito e ironico, al sesso vitale e liberatorio, non ancora ridotto a macchietta come nei film futuri, anche se lo stile (utilizzo di specchi e bidè femminili in particolare) li anticipa. Viscontiano nel kitsch e nella malinconia (riprende l'attore feticcio Berger e la scena dell'orgia della Caduta degli dei) e influenzatissimo dagli scandali dell'epoca (Il portiere di notte), Pasolini o da vecchie glorie osé (la Dietrich dell'Angelo azzurro), Salon Kitty ha avuto il demerito di aprire le porte al nutrito filone italico dei nazierotici. Ricca la produzione (décor addirittura di Ken Adam, musiche di Fiorenzo Carpi dirette da Bruno Nicolai, montaggio dello stesso Brass, organizzazione generale dell'opulenta e discendente di famiglia nobile veneziana Carla Cipriani, già inseparabile moglie e manager del Tinto nazionale); particina per Salvatore Baccaro, già ''bestia in calore'' prima nel film omonimo. La Ann Savoy, splendida inglese, è incredibilmente somigliante all'attuale modella Laetitia Cast, ma ben più generosa nel far mostra delle sue grazie. L'omosessuale Berger, già pupillo-amante di Visconti, fa la parte del perverso gerarca complessato e impotente e non ha problemi a esibirsi in nude-look. Di Roberto Donati |